
“A marzo 2013 gli occupati sono 22 milioni 674 mila, in diminuzione dello 0,2% rispetto a febbraio (-51 mila). […] Su base annua l’occupazione diminuisce dell’1,1% (-248 mila). Il tasso di occupazione, pari al 56,3%, diminuisce di 0,1 punti percentuali nel confronto congiunturale e di 0,6 punti rispetto a dodici mesi prima. […]
Su base annua la disoccupazione cresce dell’11,2% (+297 mila). Il tasso di disoccupazione si attesta all’11,5%, invariato rispetto a febbraio e in aumento di 1,1 punti percentuali nei dodici mesi.
Tra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro sono 635 mila e rappresentano il 10,5% della popolazione in questa fascia d’età. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero l’incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 38,4%, in aumento di 0,6 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 3,2 punti nel confronto tendenziale.
Il numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni aumenta dello 0,5% rispetto al mese precedente (+69 mila unità). Il tasso di inattività si attesta al 36,3%, in aumento di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e in diminuzione di 0,2 punti su base annua.”
Lasciamo che siano i report dell‘Istat, oggi, ad aprire l’articolo. Spesso pochi numeri sono più efficaci di molte parole e spesso due percentuali trasmettono più velocemente lo stesso concetto che molte righe di approfondimento faticherebbero a sciogliere.

Ma i numeri non possono bastare da soli. I numeri nascondono storie, famiglie, persone. I numeri, le percentuali dell’Istat, sono in realtà amici, famigliari, parenti. Spesso sono noi stessi, raccontano la nostra vita, la nostra condizione.
Oggi è la festa del Lavoro. Una festa dedicata a chi, sul Lavoro e per il Lavoro, ha dato la vita, ha sofferto.
A chi di Lavoro è vissuto ed è morto. Ma oggi, in Italia, quello di cui si sente la mancanza è una giornata, un pensiero, un progetto dedicato a chi non lo ha, il Lavoro.
A chi vorrebbe festeggiare la sua giornata, oggi, ma che non può farlo per colpa di una crisi mal gestita.
La Festa del Lavoro si sta spegnendo, in Italia. E c’è poco da festeggiare quando le conquiste sindacali che hanno reso l’Italia grande agli occhi del mondo vengono meno di fronte a contratti schiavisti (nel migliore dei casi), a licenziamenti di massa, a sussidi insufficienti, a fabbriche e ad aziende chiuse.
Chi può festeggiare, oggi? E cosa, soprattutto, si festeggia?
La giornata dedicata al Lavoro e ai Lavoratori non basta più. Perchè oggi, il Lavoro, sembra quasi un lusso, un privilegio di pochi, non più un valore del popolo.
Ai Lavoratori onesti e che hanno faticato va, oggi, questa giornata. Ma se la Festa del 1 maggio deve essere una giornata di riscatto e di riflettori accesi sulle difficoltà di un popolo, è soprattutto ai disoccupati che deve essere dedicata.
Perché sono loro – persone e non numeri – l’Italia di oggi e di domani. Quella disperata e a cui, durante il nostro pomeriggio di festa, dobbiamo pensare. Quella a cui una classe politica troppo distante ha rubato non solo il futuro e la vita, ma anche l’unico giorno di festa che decenni di solidarietà e impegno comune gli avevano regalato.
Quella di chi è disposto a cancellare i suoi diritti – che oggi comprensibilmente vengono ricordati e rivendicati nelle migliaia di eventi organizzati i ogni città – pur di poter dire “sono un Lavoratore anche io“.
di Marco Besana
Art.1: una rubrica dove abbiamo dato spazio alla voce di lavoratori e lavoratrici, sfruttati e sfruttate, licenziati e licenziate, pensionati e pensionati, esodati ed esodate, cassaintegrati e cassaintegrate… perché i numeri nascondono storie, famiglie, persone. I numeri, le percentuali dell’Istat, sono in realtà amici, famigliari, parenti. Spesso sono noi stessi, raccontano la nostra vita, la nostra condizione.
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