Durante questi anni di articoli, ne abbiamo parlato parecchio. Provate a digitare le parole “violenza” e “donne” nel motore di ricerca della homepage, e lui vi sputerà fuori sei pagine di storie di maltrattamenti, stupri, molestie. Ma anche, sebbene pochi (troppo pochi), esempi di resistenza, ribellione, emancipazione. Dignità e orgoglio.
Vi abbiamo riempito di numeri, dicendovi che mediamente, in Italia, quindici donne al giorno sono vittime di uno stupro, e che una su tre nell’arco della sua vita subisce almeno un tentativo di molestie. Cifra, quest’ultima, confermata a livello mondiale dal primo rapporto dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) sulla violenza nei confronti del genere femminile, uscito lo scorso Giugno.
Oggi, dopo tante “giornate anonime”, è il momento in cui i riflettori del mondo sono puntati sulla questione: da quando infatti, nel 1999, l’ONU ha fissato per il 25 Novembre la Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne, centinaia di manifestazioni e campagne vengono svolte in questa giornata da parte delle più svariate organizzazioni, dalle immense ONG come Amnesty International al piccolo Centro di Recupero dell’angolo sotto casa.
Tutte giuste, tutte importanti.
Azioni molto diverse, uno solo l’obiettivo: rendere sempre meno socialmente accettabile questo abominio. Che a dirla così, parrebbe una cosa ovvia, scontata. Poi però, dati alla mano, vedo che uno degli articoli più popolari del nostro sito riguarda l’abolizione di una legge salvastupratori, in vigore in Italia fino a non più di trent’anni fa, e che “Google” tutt’oggi ci dice che le donne dovrebbero essere schiave e stare zitte.
A proposito di (non) stare zitte, la data della commemorazione è stata scelta proprio in onore di tre grandi donne, le sorelle Mirabal. Tre dominicane che, negli anni cinquanta, si batterono fieramente contro la dittatura di Rafael Leonidas Trujillo, fino a essere vigliaccamente assassinate a bastonate, appunto il 25 Novembre 1960.
Oggi è il 2013, e permettetemi di dedicare questa giornata ad un’altra, giovane donna, che di stare in silenzio proprio non ne voleva sapere. Rita Atria era una ragazzina di Partanna, paesino del trapanese, Sicilia. Aveva undici anni quando le uccisero il padre, mafioso, in un agguato, e diciassette quando, nel 1991, anche il fratello fece la stessa fine.
Fu tanto coraggiosa da saltare la barricata. Ripudiata dalla madre, ricercata da Cosa Nostra, fece amicizia con un giudice, Paolo Borsellino. La sua testimonianza permise un gran numero di arresti e garantì anni e anni di carcere ai mafiosi. Alla morte di Borsellino, cui era ormai legata come a un padre, non resse il colpo e, dopo tutta la violenza psicologica e verbale subita dagli altri, decise di farne a sé stessa. Il 29 Luglio del 1992 si suicidò lanciandosi dal balcone della sua casa-bunker di Roma. Aveva appena diciotto anni.
Io ho ricordato Rita, ma di grandi donne che hanno dato la vita per grandi ideali ce ne sono molte. Mi piacerebbe che, chiunque legga quest’articolo, decida di ricordarne una oggi, a modo suo.
di Marco Pozzoli
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