Una dittatura mascherata da Repubblica semipresidenziale.
Una famiglia, espressione di una minoranza etnica (sciita, meno del 10% della popolazione totale), che di padre in figlio ha spadroneggiato sul paese negli ultimi quarant’anni.
Nessun partito di opposizione.
Diritti civili costituzionali in gran parte sospesi dal 1962, anno in cui il paese è entrato “in stato di guerra” (con Israele).
Siria, anno 2013.
Questi i principali motivi che, da due anni a questa parte, hanno portato alle innumerevoli manifestazioni “pro-democrazia” all’interno di tutto il paese, rendendo la Siria uno dei centri della cosiddetta Primavera araba. Centinaia di migliaia di siriani (soprattutto sunniti e curdi) scesi nelle piazze a protestare contro la dittatura mascherata di Bashar al-Assad, figlio di Hafiz al-Asad, che nel 2000 lo designò suo successore a dispetto della costituzione.
La risposta del governo è sempre arrivata puntuale. Nel sangue.
Secondo l’ONU, la guerra civile siriana negli ultimi due anni ha prodotto circa centomila morti, di cui più della metà civili. Un sacco di donne e bambini. Ultimamente, appare certo (anche se non ancora ufficialmente confermato) l’utilizzo di armi chimiche da parte dell’esercito siriano sulla popolazione civile, come nel caso dello scorso 20 agosto, quando nella notte il governo ha dato l’ordine di bombardare col gas nervino diverse zone della periferia di Damasco ritenute “ostili”. Centinaia di morti soffocati, una strage di civili.
E la comunità internazionale? Come sempre quando si tratta di medioriente, è nel panico.
Da un lato gli Stati Uniti, da sempre migliori amici di Israele e quindi peggiori nemici della Siria, stanno valutando in questi giorni l’opportunità di un attacco. Obama vorrebbe una cosa “soft”, per quanto senso possa avere questa espressione in ambito militare, i repubblicani, sotto forma del senatore McCain, gli hanno appena risposto che “i missili da crociera” se li può pure scordare.
Dall’altra la Russia, che invece ha sinora rifornito il governo siriano di munizioni e approvigionamenti (il petrolio fa comunque comodo, alla fine), predica prudenza e non crede alla storia delle armi chimiche.
Intanto, l’incontro tra Obama e Putin a Mosca di qualche settimana fa è saltato.
Insomma, la situazione rimane tesa all’inverosimile, nella speranza che nessuna delle parti in campo decida di portarla al punto di rottura.
Cosa si dovrebbe fare? Una volta tanto, è Papa Francesco ad aver trovato le parole giuste, lanciando alla comunità internazionale un appello “ a fare ogni sforzo per promuovere la pace, promuovendo iniziative basate su dialogo e negoziato”.
Nel 26° anniversario del processo a Mathias Rust, il giovane aviatore tedesco che, in piena guerra fredda, atterrò con il suo aereo nella Piazza Rossa in gesto di pace, alla pace ci si potrebbe anche pensare.
di Marco Pozzoli
Comments 0