LA STAZIONE DI BOLOGNA
2 agosto 1980. 33 anni fa.
A Bologna la stazione è colma di turisti: molti in partenza, molti di ritorno da una vacanza al mare.
Una normale mattinata d’estate in una città di “passaggio”, di snodo tra le famiglie che dal Nord Italia si muovono verso le spiagge del resto della penisola.
Nella sala d’aspetto della seconda classe, molte, moltissime persone ed altrettante valigie.
Ne basterà una, però, per interrompere in pochi secondi la vita di 85 persone e per ferirne o mutilarne oltre 200. In una valigia abbandonata, una bomba di 23 Kg di esplosivo potenziata da 18 kg di nitroglicerina.
Alle 10.25 l’esplosione inghiotte per sempre decine di vite e causa il crollo dell’ala ovest dell’edificio. Un’onda d’urto talmente potente da investire il treno Ancona-Chiasso, distruggendo 30 metri di pensilina ed il parcheggio antistante l’edificio.
“Siamo di fronte all’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia” dichiara in lacrime Sandro Pertini all’indomani della strage.
Le parole dell’unico politico applaudito tra i molti che, in quei giorni, sfilarono per le strade di Bologna.
INDAGINI, DEPISTAGGI
In prima battuta si parlò di “cause fortuite”.
Il Governo Cossiga e la polizia sembravano non avere dubbi. Bastarono i rilievi e le testimonianza per palesare la vera natura della strage: attentato; un attentato che, per modalità di esecuzione, indirizzò subito le indagini sugli ambienti del terrorismo nero.
Le indagini non furono semplici. Soprattutto perché, come dichiarò il magistrato Libero Mancuso, i depistaggi cominciarono poche ore dopo la strage.
Dopo 20 giorni furono emessi ordini cautelari per 25 persone legate all’estrema destra e ai NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari), tra cui Roberto Fiore e Massimo Morsello, futuri fondatori di Forza Nuova), ma proseguirono attraverso un percorso ad ostacoli di cui, ancora oggi, si sente il peso.
L’iter processuale fu lungo e difficile, e solo grazie alla spinta dell’Associazione tra i familiari delle vittime, il 23 novembre 1995 la Corte di Cassazione condannò all’ergastolo i neofascisti Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro.
L’ex capo della P2 Licio Gelli, l’ex agente del SISMI Francesco Pazienza e gli ufficiali del servizio segreto militare Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte vennero invece condannati per depistaggio. Fu comprovato, infatti, che i “servitori dello Stato” – più o meno occulti – falsificarono prove e ne inscenarono il ritrovamento, oltre a produrre falsi dossier con il tentativo di scollegare ogni possibile aggancio politico dall’accaduto.
Il 9 giugno 2000 la Corte d’Assise di Bologna emise nuove condanne per depistaggio: 9 anni per Massimo Carminati – militante di estrema destra – quattro anni e mezzo per Federigo Mannucci Benincasa, ex direttore del SISMI di Firenze, e per Ivano Bongiovanni, pregiudicato legato all’estrema destra extraparlamentare.
Nel 2007 la parola “fine”, con la condanna a 30 anni dell’ultimo imputato: Luigi Ciavardini.
Una “fine” amara, tuttavia. I veri mandanti della strage, coloro i quali avrebbero orchestrato quello che viene ancora ricordato come il più atroce attentato terroristico italiano, rimangono ancora sconosciuti.
33 ANNI DOPO. LA CITTÀ CAMBIA NOME
Non si è però arresa alla rassegnazione, Bologna.
Soprattutto grazie alla costante attività dei familiari, degli amici, dei cittadini che, già a pochi minuti dall’esplosione, dimostrarono un legame raro con la loro città, trasformandosi in infermieri e soccorritori. Un legame che, ancora oggi, è forte e tangibile.
Quest’anno la città ricorderà le vittime cambiando nome alle sue strade.
Per un giorno, il 2 agosto, 85 vie di Bologna saranno intitolate alle 85 vittime della strage, a cominciare da Angela Fresu, Luca Mauri, Kai Mader, Sonia Burri, Manuela Gallon, Cesare Francesco Diomede Fresa ed Eckhardt Mader, i sette bambini rimasti uccisi.
Un’idea dell’associazione “Piantiamolamemoria” per far conoscere i nomi e le biografie delle vittime della strage.
Nomi e biografie che dovrebbero imparare a memoria coloro che ancora si nascondono, che conoscono, che non hanno mai parlato. Ma che, prima di tutto, dobbiamo conoscere noi. Perché dietro questo numero, questo “85”, c’erano vite, sogni e storie vere.
L’Italia è il Paese dei misteri irrisolti. Risolti a metà, alla meglio.
Ustica, Piazza Fontana, Bologna, la trattativa Stato-Mafia. Il recentissimo caso kazaco.
Fatti che accadono, di cui la politica non sembra conoscere nulla, e di cui ci viene fatto dimenticare in fretta che siano anche solo successi.
Anche per questo, per fare in modo che la memoria non si trasformi in una scatola vuota, cerchiamo di pretenderla sempre, la verità. Anche se non dovessimo mai arrivare a conoscerla.
di Marco Besana
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