Ci sono nomi che vanno ricordati.
Nomi che andrebbero presi ad esempio quando ancora portati da una persona viva. Nomi che andrebbero tenuti come monito anche dopo la morte.
Uno di questi nomi è Chinua Achebe.
“Chinua”, non “Albert Chinualumogu”, vero nome di battesimo di uno dei più importanti scrittori africani degli ultimi tempi, scomparso venerdì scorso, il 22 marzo, a Boston.
Nato nel 1930 nel villaggio di Ogidi, nella Nigeria orientale, Chinua abbandona presto il nome di battesimo che gli era stato dato dalla famiglia; un nome che – come lui stesso scrisse – rappresentava un “lascito coloniale” inaccettabile.
Chinua Achebe nasce in una famiglia istruita e cristiana; studia medicina e letteratura a Ibadan e, negli anni della sua formazione, solidarizza con i giovani intellettuali che spinsero la Nigeria verso una nuova riflessione politica e culturale. I suoi primi scritti lo rendono in breve la bandiera di una nuova Africa, un’Africa che punta a rileggere e a riscrivere la sua stessa storia, svincolata dai testi “colonialistici” del panorama letterario dell’epoca.
Negli anni ’60 vive il dramma della guerra civile e della secessione del Biafra dalla federazione nigeriana che devasta il Paese, schierandosi sempre in difesa dei diritti del suo popolo. Un’esperienza che segna profondamente la sua esistenza, e che riaffiora nell’ultimo libro dello scrittore: There Was a Country. A Personal History of Biafra.
Si legge su Nigrizia, a proposito dell’attività dello scrittore: “Fin dagli anni Sessanta Chinua Achebe aveva prodotto una serie di importantissimi saggi critici in cui analizzava il portato del colonialismo e si scuoteva di dosso quel marchio di subalternità che esso aveva comportato, rivendicando la propria indipendenza di giudizio e rigettando l’universalismo europeo in nome del diritto del soggetto africano di raccontare da sé la propria storia e la propria cultura, con competenza e giusto orgoglio”.
Una voce contro il colonialismo, quella di Chinua Achebe. Una voce che ha riportato all’Africa la dignità che l’Occidente ha rubato e che oggi – davanti a un’Africa ancora troppo spesso giudicata “terzo mondo” – dovrebbe essere ascoltata con ancora più attenzione.
Nella stessa Nigeria che ha dato i natali ad Achebe, infatti, sono ancora all’ordine del giorno violenze che il nostro stesso colonialismo ha prodotto.
Nel nord del Paese, regione a maggioranza musulmana, ha da tempo guadagnato terreno il movimento Boko Haram, responsabile di oltre 450 omicidi, che rifiuta categoricamente tutto ciò che proviene dall’Occidente, vaccini inclusi.
Come altre comunità africane, anche i seguaci di Boko Haram considerano i vaccini “armi occulte” del mondo occidentale utilizzate per sterilizzare la popolazione.
Il risultato è che, oltre alle violenze, in questa regione l’anno scorso si sono registrati il doppio di casi di poliomielite (malattia debellata in tutto il mondo ad eccezione dell’Afghanistan del Pakistan e della Nigeria) rispetto all’anno precedente, dando il via a quella che viene chiamata “guerra del polio”.
La violenza che insanguina e uccide la Nigeria ha però radici tutte occidentali, in quella nuova “forma di colonialismo” in cui non più i governi, ma le multinazionali, sfruttano il territorio africano.
Nel 1996, infatti, una nota multinazionale americana sperimentò occultamente un nuovo antibiotico su alcuni bambini di Kano (Nigeria), uccidendone 11 e rendendone molti disabili.
Il colonialismo, forse, non è finito.
La violenza, ad esso connessa – per contrastarlo o per appoggiarlo – nemmeno.
Solo quando voci come quella di Achebe si spegneranno, tuttavia, la speranza per l’Africa finirà davvero.
di Marco Besana
Comments 0