Ci sono Paesi a cui l’Occidente sente il bisogno di insegnare, ad ogni costo, la propria democrazia.
E poi ce ne sono altri, con in quali l’Occidente continua a tenere solidi rapporti commerciali, a cui nessuno ha nulla da obiettare, nonostante siano ogni anno protagonisti di importanti violazioni dei Diritti Umani.
Il principale, fra questi Paesi, è la Cina.
La Cina che schiaccia le proteste tibetane, la Cina che distrugge l’ambiente di intere popolazioni per costruire nuovi impianti industriali, la Cina che incarcera dissidenti facendoli sparire per interi mesi.
La Cina che incarcera Liu Xiaobo, intellettuale e premio Nobel per la Pace condannato a 11 anni di prigione per aver redatto “Carta 08”, un documento che chiede democrazia e rispetto dei diritti umani nel Paese.
La Cina che arriva a fare anche di più, negando adeguate cure mediche alla moglie di Xiaobo, Liu Xia, che quattro giorni fa è stata ricoverata per problemi cardiaci aggravatisi durante il periodo di detenzione illegale di cui lei stessa è vittima da quattro anni, con agenti di pubblica sicurezza che la seguono durante ogni minimo spostamento.
Secondo Asia News “le autorità cinesi le hanno impedito un ricovero all’estero e, in un primo momento, non hanno permesso a nessun ospedale di Pechino di accoglierla. Dopo l’ennesimo peggioramento delle sue condizioni, lo scorso 18 febbraio è stata ricoverata in una struttura della capitale. Non è possibile sapere dove si trovi o quale sia il responso dei medici”.
L’avvocato della donna sostiene che “gli arresti domiciliari subiti per così tanti anni sono alla base del suo peggioramento. I suoi volevano mandarla all’estero, forse in Europa, perché ritengono che questo sia l’unico modo per garantirle delle buone cure“.
Per esprimere solidarietà a Liu Xia, un gruppo di attivisti democratici di Hong Kong e della Cina continentale si è rasato la testa il giorno di San Valentino chiedendo alle autorità il suo rilascio incondizionato.
L’Occidente, invece, non ha espresso solidarietà né indignazione.
Eppure in passato ci siamo indignati per molto meno, giustificando con la nostra indignazione interventi militari spacciati come missioni di pace.
di Marco Besana
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