Come ormai gli abituali frequentatori del sito avranno capito da un po’, le numerose tematiche trattate da ¡NO MÁS! sono state suddivise tra i membri della redazione, in modo più o meno rigoroso.
C’è chi tratta del Medio Oriente, chi delle Americhe, chi dell’Africa, chi del nostro paese. Chi scrive di guerre, chi di manifestazioni, chi di diritti umani. Eccetera eccetera.
A me, almeno per questo periodo, sono toccate la politica interna e la mafia.
Pensandoci, mi ha detto pure bene. Voglio dire, dato che le due cose ultimamente vanno più d’accordo di una coppia di sposini in luna di miele, spesso posso pure trattarle assieme, in un unico articolo. Prendi due e paghi uno, come al supermercato. Niente male davvero.
Un magnifico esempio di questo “sconto fedeltà” l’abbiamo avuto anche in questi ultimi giorni. Dopo qualcosa come 16 anni di processo, venerdì scorso la Corte di Cassazione ha avuto la possibilità di condannare definitivamente Marcello dell’Utri per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, contestatogli per fatti inerenti al periodo delle stragi di mafia (culminate con la morte dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel 1992).
Dopo la condanna, nel gennaio 2011, di Totò “Vasa Vasa” Cuffaro, ex presidente della regione Sicilia nonché ex frequentatore di salotti mafiosi nonché attuale frequentatore delle carceri di Rebibbia, sarebbe stato un altro grande colpo per la giustizia. Un grande colpo a questa politica deviata e corrotta.
Ma, come dire, non è mica sempre domenica. E allora “casualmente” si scopre che il sostituto procuratore generale per quest’ultima fase del processo (il magistrato che, per quello che può capirne un profano come me, in rappresentanza dello stato formula la richiesta di pena che ritiene necessaria per l’imputato), sia un certo Francesco Iacoviello.
“E questo chi cavolo è?”, sarebbe probabilmente la domanda del 99% degli italiani. Beh, buttando un occhio al Curriculum Vitae del magistrato, si scoprono una serie di imprese niente male. Il procuratore Iacoviello è infatti colui che, tra le altre cose e per farla breve, negli anni tolse le castagne dal fuoco a gente come il sette volte presidente del consiglio Giulio Andreotti (associazione a delinquere e rapporti con la mafia), l’ex ministro Calogero Mannino (concorso esterno in associazione mafiosa), l’avvocato Cesare Previti ed il giudice Renato Squillante (corruzione nel processo IRI-SME).
Non per niente Iacoviello è un giudice della scuola di Corrado Carnevale, giudice soprannominato l’ammazzasentenze per avere annullato un sacco di processi nei confronti di boss mafiosi e criminali vari, tutti in sede di cassazione, per meri vizi di forma.
Di fronte a cotanti precedenti il finale non poteva che essere già scritto: Iacoviello chiede e ottiene l’annullamento del processo d’appello a carico di dell’Utri, denunciando “gravi lacune giuridiche” ed accuse senza fondamento da parte delle solite toghe rosse, nei confronti di colui che da vent’anni è sospettato di essere a lungo stato il tràite d’union tra la mafia e gli imprenditori del nord (Silvio Berlusconi in primis).
Nulla di fatto dunque, e considerando i tempi della giustizia italiana, il buon Marcello potrà dormire sonni tranquilli per almeno un’altra decina d’anni.
Cosa manca per chiudere questa Happy Ending? Le felicitazioni bipartisan della Casta, naturalmente.
E se dai suoi amici del PdL non è che ci si aspettasse molto altro, sentire Luciano Violante, responsabile riforme del PD nonché ex-presidente della commissione antimafia, suggerire un non meglio specificato “cambiamento” nell’interpretazione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa per adattarlo ai contesti attuali, beh, fa pensare.
Falcone e Borsellino, che quel reato lo inventarono per condannare centinaia di collusi durante il maxi-processo alla mafia del 1987, si rivoltano nelle loro tombe di eroi. E l’Italia piange lacrime amare.
di Marco Pozzoli
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