Articolo 19 – Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato
per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.
2 settembre 2014. Steven Sotloff, giornalista statunitense, viene ucciso in Siria da un terrorista dell’ISIS. Prima di lui, James Foley, 19 agosto.
Due giornalisti uccisi di cui si è parlato molto negli ultime settimane. E giustamente. Se ne è parlato per la brutalità delle loro uccisioni e perchè l’ISIS è un tema attuale, che riempie le pagine dei giornali.
Un tema che forse, tra poco, passerà in secondo piano, quando l’attenzione si sposterà ad altri angoli del mondo oggi dimenticati, domani sotto i riflettori e poi destinati a tornare nuovamente nell’ombra.
Di Foley e Sotloff si è parlato, ma soprattutto come simboli di un Occidente a cui il fanatismo islamico ha dichiarato guerra. Come “occidentali”, più che come “giornalisti”. Eppure entrambi avevano una missione specifica, ed è il giornalismo – oltre a famiglie e compatrioti – ad essere ancora una volta in lutto.
Secondo Reporter Sans Frontiere, quest’anno, altri 48 giornalisti sono stati uccisi. La maggior parte di loro nel più totale silenzio. 50 giornalisti, 9 operatori tecnici, 14 fra blogger e “citizens journalists”, cittadini che partecipano attivamente a nuove forme di informazione online. Nel 2014, da gennaio ad oggi, l’Informazione ha perso 73 figli. Siria, il Paese con più vittime (11), seguita dalla Palestina (7) e dall’Ucraina (5), due fronti dove hanno perso la vita anche due reporter italiani, Simone Camilli e Andrea Rocchelli.
Sono i tre Paesi che più di tutti gli altri hanno catturato l’attenzione dei media, ma nel 2014 sono stati uccisi giornalisti anche in Somalia, in Russia, in Messico, in India, in quel Brasile di cui si è parlato solo durante i mondiali di calcio. Come Sotloff e Foley, decine di altri giornalisti hanno pagato con la vita qualcosa che, agli occhi dell’opinione pubblica, è spesso incomprensibile: il desiderio di dare a tutti noi notizie, il bisogno di raccontare quello che nessuno racconta, documentare dall’interno gli angoli più bui del mondo.
Incomprensibile perchè ci siamo disabituati a ritenere non solo importante, ma fondamentale l’informazione. Per noi, per la nostra vita.
Ecco perchè non soffriamo se muoiono giornalisti. A me meno di non identificare in loro un simbolo di familiarità, ma senza riflettere su quello che stavano facendo, perché lo facevano e, soprattutto, per chi.
di Marco Besana
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