Domani è come se fosse il 2 Giugno. Una festa della Repubblica. Certo, non lo è, perché la storia, e dunque il significato, del 1° Maggio, è diversa, ma domani è la festa di ciò su cui la Repubblica si fonda: il lavoro.
L’articolo 1 è, insieme all’articolo 11, l’unico della Costituzione in cui è presente la parola “Italia”. E il nostro Paese è l’unico al mondo a dichiarare di essere fondato sul lavoro. Il lavoro è ciò che sta alla base dello Stato, ciò che ne è il fondamento. Non è un caso che Costituzione stessa sancisca che i titoli nobiliari non sono più riconosciuti in Italia (XIV disposizione transitoria). Portando a compimento uno dei maggiori ideali illuministici, l’Italia decide di rinunciare a quella popolazione che, per secoli si poteva permettere di non lavorare. Anzi, secondo la quale il lavoro, quello manuale in particolar modo, era sinonimo di rozzaggine, di debolezza, di povertà. L’articolo 1 vede nel lavoro il contributo che ognuno può dare. E ognuno, nel lavoro, rappresenta un pezzo della Repubblica.
Se il lavoro manca, viene meno la Repubblica. E per lavoro non si intende solo occupazione, bensì poter esercitare in sicurezza, avere una retribuzione adeguata, essere messi in condizione di poter esprimere le proprie potenzialità. E’ per questo che si parla di diritto al lavoro e non di diritto “al posto di lavoro”.
Il lavoro come essenza della nazione e dell’uomo stesso. Lo diceva Karl Marx nei Manoscritti economico-filosofici del 1844: il lavoro è ciò che differenzia l’uomo dall’animale. L’animale non lavora, l’uomo sì. La storia dell’uomo passa attraverso un costante rapporto dialettico tra il bisogno e il desiderio di soddisfare tale bisogno: il lavoro è il mezzo che accompagna lo sviluppo umano e che risolve la dialettica che lo accompagna. Il lavoro è fatica ma è realizzazione, di se stessi e della storia.
Ma Marx aggiungeva un’altra cosa, una cosa molto attuale, purtroppo: che il lavoratore è alienato, rispetto a questa stessa umanità. Quando il lavoro assume le forme dello sfruttamento, dell’obbligazione, dell’inconsapevolezza, si assiste a una disumanizzazione del lavoratore. Egli vedrà nel lavoro qualcosa di negativo, qualcosa che lo fa “sgobbare come un animale” per poi tornare a sentirsi uomo nei momenti in cui mangia, si riposa, si accoppia, nei momenti, cioè, in cui si comporta come un animale. Contraddizione quanto mai diffusa.
Questo è il rischio del lavoro, ieri come oggi. Questo è il monito che, con Marx, deve accompagnare i festeggiamenti del 1° Maggio; una festa che parla del nostro Paese e di noi stessi più di quanto possiamo immaginare.
di Pietro Crippa
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