Ancora non si è voltato. Come spiegò Naji al-Ali, l’artista palestinese che lo creò negli anni settanta, Handala avrebbe continuato a dare le spalle ai lettori finché si sarebbe trovato in disaccordo con la situazione della Palestina.
Un simbolo di protesta silenziosa, ma continua, come dimostrano le braccia incrociate dietro la schiena e i piedi nudi, quelli del popolo martoriato di Gaza, immobili davanti alle immagini dei quotidiani massacri della sua Terra.
Handala è un bambino di dieci anni. Un bambino che simboleggia una generazione, ma la cui protesta abbraccia la Palestina intera.
È vestito di stracci e rivolge il suo sguardo, uno sguardo che non saremmo in grado di sostenere, ai villaggi distrutti dalle bombe.
I capelli di Handala sono aculei; il corpo è l’unica arma di difesa del popolo palestinese raffigurato nel personaggio di al-Ali, il popolo di chi soffre come vittima innocente, non quello dei terroristi.
Ma ha anche le sembianze di un sole, la testa di Handala. Il sole della speranza futura, della nuova via, dell’Utopia trasformata in realtà.
E ancora non è cresciuto, Handala. Potrà farlo solo tornando a casa, solo quando il decennale massacro sarà finito.
Handala è solo un disegno. Un insieme di linee tracciate su un foglio.
Eppure la mano che gli diede vita fu fermata con la violenza: Naji al-Ali fu misteriosamente assassinato a Londra, nel 1987.
E quel semplice disegno, quel povero insieme di linee, era tatuato anche sul corpo di Vittorio Arrigoni, un uomo giusto, anch’esso fermato dalla stessa violenza.
No. Non è solo un disegno, Handala. Non lo è più, o forse non lo è mai stato.
Handala è il simbolo della Palestina che il mondo non vuole vedere. E che è disposto a cancellare o a permettere che venga dimenticata.
Ma Handala non si è ancora voltato. E finché il mondo non lo vorrà guardare negli occhi, sarà lui a non rivolgere gli occhi al mondo. Ma resterà fermo, a ricordarci che ancora esiste, quella Palestina. E ad insegnarci lui, un semplice disegno, a diventare o a restare umani.
dal Blog di Vik, Guerrilla Radio
“Fu quando nacque il personaggio di Handala. E finalmente ho introdotto Handala ai lettori: “Sono Handala, dall’accampamento di Ain al-Helwa. Do la mia parola d’onore che rimarrò leale alla causa”. Quella era la promessa che avevo fatto a me stesso. Il giovane, scalzo Handala era un simbolo della mia infanzia. Aveva l’età che avevo io quando lasciai la Palestina e, in un certo senso, ho quell’età ancora oggi. Anche se tutto questo è accaduto 35 anni fa, i particolari di quel periodo della mia vita sono ancora assolutamente presenti nella mia mente. Sento di poter ricordare e percepire ogni cespuglio, ogni pietra, ogni casa ed ogni albero che ho incontrato quando ero un bambino in Palestina. Il personaggio di Handala era una specie di icona che ha protetto la mia anima dal cadere ogni volta che rallentavo o stavo ignorando il mio dovere. Quel bambino era come una spruzzata di acqua fresca sulla fronte, mi risvegliava l’attenzione preservandomi dall’errore e dall’indecisione. Era l’ago della bussola, costantemente puntato verso la Palestina. La Palestina non soltanto in termini geografici, ma la Palestina nel suo senso umanitario – il simbolo di una causa giusta, che fosse in Egitto, in Vietnam o in Sud Africa“.
“I Am from Ain al-Helwa” di Naji al-Ali, da Al-Aharam Weekly
Naji sapeva bene che allontanandosi dal campo profughi, dal quotidiano vivere della sua gente, avrebbe corso il rischio di fare la fine degli uomini sotto il sole di Kanafani, di perdere la memoria, l’identità, l’urgenza della lotta, di trasformarsi, come tanti, in un “tanabel”, un piccolo uomo ripiegato su sé stesso, tutto intento ai propri affari.
Naji non aveva letto Il tamburo di latta di Günther Grass: in quel suo primo romanzo, pubblicato nel 1959, il grande scrittore tedesco racconta vent’anni di storia del proprio paese, da Weimar alla caduta del nazismo, con gli occhi di Oskar, un bambino che a tre anni smette volontariamente di crescere, esprimendo in questo modo insolito tutta la sua ripugnanza verso il mondo degli adulti, il suo disgusto per il perbenismo, la falsità e la grettezza di quella borghesia, codarda e indifferente, che aveva consentito l’avvento del nazismo.
Come il piccolo Oskar di Grass, anche il piccolo Handala uscito dalla matita di Naji è voce narrante, è testimone della storia, è la coscienza del suo autore, è l’autore stesso che rifiuta di crescere per conservare quanto più vivido e doloroso il ricordo del giorno in cui, a dieci anni, scacciato dalla sua casa, privato di ogni cosa, fu costretto a vivere in una tenda nel campo profughi di Ain al-Helwa, lontano dalla Palestina.
E se Oskar esprime la propria rabbiosa protesta picchiando incessantemente sul suo tamburo di latta ed emettendo un urlo lacerante che manda in frantumi ogni vetro, così Handala, scalzo, lacero e spelacchiato, non mostra mai il viso, volta le spalle al lettore e non distoglie invece mai lo sguardo dalle vicissitudini della sua gente.
Nessuno vorrebbe avere tra i piedi dei bambini come Oskar e Handala!
Al-Handal è un’erba selvatica comune in Medioriente, molto spinosa e dai frutti di sapore amaro; e Handala è un bambino che conosce l’amarezza dell’esilio, della negazione, dell’abbandono, del tradimento… Naji lo presentò al suo popolo in un momento in cui, a livello internazionale, i palestinesi non erano ancora riusciti a imporre una propria presenza politica, e d’altra parte nessuno mostrava il minimo interesse al problema dell’espropriazione della Palestina… Naturale che Handala voltasse le spalle al mondo intero! Tuttavia, nemmeno in seguito ebbe alcun buon motivo per mostrarsi: non nel giugno del 1967, quando gli Israeliani, dopo aver annientato al suolo l’aviazione egiziana e sbaragliato quella giordana, inghiottirono quel che restava della Palestina cacciandone quanti più abitanti potevano, arrivando persino a lanciare bombe incendiarie sulle colonne dei profughi in fuga; non nel “settembre nero” del 1970, quando il presidente americano Nixon e Hussein di Giordania, sovrano di un paese arabo, si accordarono per farla finita con gli ingombranti fedayin palestinesi che ad Amman avevano il loro quartier generale: la ferocia dei soldati giordani fu tale che alcuni guerriglieri palestinesi, pur di non cadere nelle loro mani, preferirono riparare in… Israele!
di Marco Besana
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