Non ho fallito. Ho solo trovato diecimila modi che non avrebbero funzionato.
Thomas Edison
IL FALLIMENTO COME CONDIZIONE STRUTTURALE DELL’ECONOMIA
Domenica 29 Dicembre, il Corriere della Sera pubblicava una riflessione di Danilo Taino sul “diritto al fallimento”. Secondo la firma del quotidiano, il fallimento
non solo è parte del processo di try-and-error che porta al successo, cosa abbastanza ovvia. È anche regolatore del mercato, misuratore del merito: caratteristica strutturale e indispensabile del capitalismo. Questo rapporto con il fallimento è una delle qualità che fanno dell’America un Paese a parte, diverso da tutti gli altri e al quale molti, quasi tutti, cercano di assomigliare.
Il pezzo continua con una serie di esempi portati a elogio del sistema capitalistico d’oltreoceano, «fondato sulla responsabilità individuale di chi sbaglia e si rialza», rispetto a quello Europeo che, al contrario, «vuole garanzie prima di accendere la lampadina di Edison». Si trattava, insomma, di un’esposizione di carattere economico che a tratti cercava di estendersi sul piano umano e psicologico dell’individuo, non riuscendovi realmente a causa della mancanza di una sufficiente ricerca genealogica.
L’INFALLIBILE FALLIBILITA’
Di fronte a una tale apologia del puro capitalismo, distinto da quello “handicappato” catto-europeo, senza neppure prendere in considerazione altri modelli economici, avverto fare capolino qualche dubbio. Sospetti che diventano realtà quando vado a leggere il profilo di Taino sul Corriere on line:
Una vita con l’euro. Ma anche molta Asia, India e problemi della globalizzazione. E poi la Germania e Berlino, dove è stato corrispondente dal 2007 al 2011. Già responsabile di Corriere Economia, dal 1998 al 2002, oggi è inviato speciale e segue fatti e temi sul confine tra politica ed economia (soprattutto estere). Una laurea in Architettura usata con parsimonia estrema. Economista preferito: Milton Friedman.
Economista preferito: Milton Friedman. Guru del capitalismo, pilastro della celeberrima “Scuola di Chicago”, lo stesso che dopo aver constatato un fallimento finanziario a seguito dell’applicazione di teorie radicalmente liberiste altro non faceva se non sottolineare una insufficientemente radicale applicazione delle stesse. Insomma, se il capitalismo ha sbagliato è perché non era abbastanza capitalistico. Con buona pace di coloro che ci rimettono (spesso qualcosa di più di qualche risparmio o di un posto di lavoro e di esempi ne abbiamo a manciate dal 2007 a questa parte, in una crisi economica che, ricordiamolo, parte proprio dagli USA).
FALLIMENTO PERSONALE E FALLIMENTO IMPRENDITORIALE
Detto questo, non si desidera fare, specularmente, un encomio al modello collettivistico (le cui applicazioni nella storia sono state rovinose). Semplicemente si vuole distinguere tra il diritto al fallimento personale e il diritto al fallimento imprenditoriale.
Quest’ultimo, per quanto non lo si debba vedere come un tabù (sbagliare è umano), non deve neppure essere preso alla leggera, come una componente quasi naturale e, persino, positiva del sistema. Questo perché, banalmente, la rete capitalistica (ed essa e sì un’esclusiva di questo modello economico) fa sì che un fallimento possa generare una reazione a catena in grado di portare con sé un numero impressionante di individui, la maggior parte dei quali incolpevoli, in un baratro di crisi. Vedi 1929, 1973 e 2006 (rispetto a quest’ultima, a onor del vero, bisogna dire che lo stesso Taino vede come un «guaio» le aziende o le banche «troppo grandi per poter fallire»).
Il primo, al contrario (e qui mi trovo totalmente d’accordo con Taino), è sì un diritto e, anzi, qualcosa che, da un certo punto di vista, può essere incontrato come un che di positivo, come un’occasione. Perché – e cito ancora il pezzo del Corriere – è veramente triste sapere come
solo 17 giovani europei su cento ritengono che ci siano opportunità di business disponibili e sono convinti di avere le capacità e le conoscenze per approfittarne. E il 41,9 per cento di loro cita la paura del fallimento come barriera per iniziare un business.
Bella sarebbe quella società in cui la speranza di riuscire è più forte della paura di cadere. Perché se è vero che i rigori li sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli, molto meglio un’esistenza ricca di fallimenti, piuttosto che una vita alla fine della quale ci si ritrovi ad inseguire stendardi mentre vespe e tafani ci pungolano la carne.
di Pietro Crippa
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