Sabato scorso, il segretario di Stato americano John Kerry ha chiesto all’Unione Europea di posticipare l’applicazione del divieto di finanziare i progetti israeliani nei Territori occupati in Cisgiordania. Un intervento che ci pone di fronte a tre riflessioni, così evidenti da passare troppo spesso inosservate. Prima, però, un piccolo quadro esplicativo.
COSA SONO I “TERRITORI OCCUPATI”?
Nella “Guerra dei sei giorni” (1967), Israele sconfigge con estrema facilità le forze egiziane, siriache e giordane, occupandone diversi territori. Questi furono: la Penisola del Sinai, la Striscia di Gaza, la Cisgiordania, Gerusalemme Est e le alture del Golan. Il conflitto – tutt’altro che “difensivo”, dato che Tel Aviv non faceva altro che aspettare un casus belli per avere l’occasione di mettere a tacere la resistenza araba – fu aspramente criticato dall’ONU e, negli anni a venire, Israele dovette abbandonare il Sinai, Gaza e il Golan.
A Gerusalemme Est e in Cisgiordania, invece, ancora oggi persiste la presenza militare israeliana, anche se questi territori, formalmente, non fanno parte dello Stato ebraico, facendo di essi i cosiddetti “Territori occupati”. Nel Luglio scorso, l’UE decise di interrompere i finanziamenti a qualunque progetto israeliano in questi territori, in quanto non d’accordo alla edificazione di colonie ebraiche sul suolo arabo.
1. “QUANDO SI PARLA DI ISRAELE, SI PARLA DI STATI UNITI”
Tornando all’intervento di Kerry, la prima riflessione è la seguente. Come ebbe a notare lo studioso americano Noam Chomsky, non bisogna dimenticare mai che, dal 1973 in poi, quando si parla di Israele, si parla di Stati Uniti. La guerra del Kippur (Ottobre 1973), infatti, evidenziò una differenza rispetto a quelle del ’67 e, ancora prima, del ’56: Israele non era invincibile. L’alleanza siriaco-egiziana tenne in scacco le forze israeliane diversi giorni e fu costretta alla resa solo dopo l’arrivo dei contingenti USA, richiesti fino alle lacrime da Tel Aviv. Da quel momento in poi, l’ascendente di Washington sugli affari israeliani non fece altro che accrescere.
2. LA STORIELLA DELLO STATUS QUO
Punto numero due. Storicamente, in riferimento alla situazione in Palestina, gli Stati Uniti hanno sempre difeso soluzioni che mantenessero lo status quo. La lettura diffusa di tale atteggiamento è quella che designa la Casa Bianca come simbolo di equità, nume tutelare di entrambe le cause in lotta: nessun intervento militare, né ebraico, né arabo. D’altra parte, tuttavia, è doveroso notare come, già nel 1966, con una netta presa di posizione, gli Americani si schierarono a favore degli israeliani, ai quali vendettero una cinquantina di bombardieri e oltre duecento carri armati per controbilanciare le continue minacce arabe alla sicurezza di Israele. Quest’ultima osservazione mostra bene ciò che diversi autori hanno rimarcato: Israele era – ed è – una vera e propria “valvola di sfogo”dell’altrimenti altalenante industria militare statunitense: ogni qual volta Washington ostentava il proprio rifiuto alla guerra, preferendo a ogni conflitto il mantenimento dello status quo, ciò nascondeva l’altra faccia della medaglia e cioè che lo status quo significava stato di guerra permanente.
3. IL NON-ESSERE DELL’ALTRO
E infine il problema fondamentale. Al di là degli USA, dell’UE, delle armi e delle vittime, gli ultimi anni recano un pericolo inedito e, a mio parere, probabilmente insuperabile: la nascita di generazioni che, da una parte e dall’altra, non hanno visto altro che la guerra, immemori di ciò che c’era prima del 1948; generazioni inevitabilmente immerse nell’ odio verso l’altra fazione, ignare della convivenza possibile. Qui si parla di persone che, già da sempre, vivono in un mondo di “buoni” e “cattivi”. Il fatto è che il popolo israeliano e il popolo palestinese pensano, l’uno dell’altro, la stessa cosa: che l’altro non esiste, che è un’invenzione; il primo autodeterminandosi nel 1948, il secondo nato solo per differenza dal primo. Quale dialogo con qualcuno del quale non riconosco nemmeno l’essere?
di Pietro Crippa
Fonti:
N. Chomsky, Il Conflitto Israele-Palestina, Datanews, Roma 2002.
E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali dal 1918 ai giorni nostri, Laterza, Roma-Bari 2008.
C. Vercelli, Storia del conflitto israelo-palestinese, Laterza, Roma-Bari 2010
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