Un’area grande come la Germania. E’ la risultante della somma dei terreni africani che oggi appartengono alle multinazionali straniere. A dirlo è l’Oxfam, un’associazione umanitaria impegnata, in particolar modo, a combattere le ingiustizie e la povertà nel mondo.
Nel nostro pianeta, dal 2001, almeno 227 milioni di ettari sono stati venduti o affittati a potenze economiche straniere. La metà di tali accordi riguarda l’Africa.
In un primo tempo, si era guardato con benevolenza e speranza a questo tipo di economia: vi era fiducia che le imprese coinvolte promuovessero investimenti a diretto beneficio delle comunità più povere e che i fondi ottenuti fossero riconvertiti dal governo in servizi migliori, oppure anche solo per incrementare i raccolti.
Con il passare degli anni, però, i toni si sono fatti molto più scettici.
I terreni presi di mira sono sempre quelli migliori, quelli che si sono dimostrati produttivi e quelli che sono situati nelle vicinanze di centri abitati non eccessivamente poveri, dove poter vendere il prodotto nell’immediato. La bonifica di terreni incolti e la loro rivitalizzazione – alcuni degli obiettivi dichiarati dalle multinazionali – non vengono, dunque, realizzate.
La maggior parte dei terreni non è sfruttata a scopo agricolo, bensì nasconde nel sottosuolo risorse e pietre preziose. “In Mozambico – dice l’Oxfam – dove il 35% della popolazione è cronicamente in stato di insicurezza alimentare, solo 32.000 ettari dei 433.000 oggetto di investimenti in agricoltura nel 2007 e nel 2009 sono destinati alla semina di cereali alimentari”.
I prodotti ottenuti (es: biocarburanti) non sono neppure venduti in Africa, data la povertà d’acquisto, e a beneficiarne è il Nord del mondo.
I posti di lavoro creati – al contrario di quanto promesso dalle autorità locali e/ straniere – sono pochi e mal pagati. Senza contare le pessime condizioni a cui sono costretti i braccianti.
Last, but not the least, capita che intere comunità vengano obbligate ad abbandonare, senza un preavviso adeguato, le proprie terre: “In Uganda, per esempio, almeno 22.500 persone hanno perso casa e terra in seguito all’espropriazione subita per mano della New Forest Company (NFC), un’azienda britannica specializzata nella produzione di legname”.
Se provate a collegarvi al sito della NFC, verrete accolti dal seguente messaggio di benvenuto:
L’NFC è una società britannica forestale sostenibile e socialmente responsabile, con piantagioni in rapida crescita e la prospettiva di una diversificazione di prodotti per i mercati di esportazione locali e regionali, che fornirà interessanti sviluppi per gli investitori e notevoli benefici sociali ed ambientali.
Ai posteri…
Nel frattempo il land grabbing – letteralmente “agguantare terreni” – non accenna a diminuire, pare anzi che nei prossimi anni non potrà fare altro che aumentare, data la sempre crescente richiesta di cibo, acqua e risorse.
Come mostrava – giustamente – Banda, il presidente uscente dello Zambia pochi giorni fa, di fatto, attraverso tali investimenti, i soldi arrivano; ma come ribatteva Sata, non si sa dove effettivamente vadano a finire. Per la cronaca, Mercoledì scorso, Sata è stato eletto presidente dello Zambia con il 43% dei voti contro il 36% di Banda.
Da parte mia, mi limito a segnalare una cosa talmente scontata che, proprio per questo motivo, rischia di passare inosservata. La terra, per una famiglia che da sempre ha vissuto dei suoi prodotti, che magari l’ha ereditata dai propri antenati, che l’ha continuamente difesa dalle intemperie, dalle incursioni nemiche e dalla quale trovava risposta nei frutti che donava, ecco, questa terra, per queste persone è come se fosse parte vitale della propria famiglia. Perderla assume lo stesso significato di veder morire la propria madre o la propria figlia, ciò che ti è di più caro al mondo e per la quale e grazie alla quale, ogni giorno, vivi.
di Pietro Crippa
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