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La montagna che divora le donne

ESTERO, News / by Pietro Crippa / Apr 29, 2014

“La chiamano la montagna che divora gli uomini, ma sarebbe meglio dire la montagna che divora le donne”. Raúl de la Fuente è il regista di Minerita, cortometraggio vincitore quest’anno del premio Goya, che racconta della violenza subita dalle donne e dalle bambine nei dintorni della miniera di Cerro Rico (Bolivia), a 4700 metri d’altezza, da parte degli uomini che, consapevoli della propria condanna a morte per le condizioni di lavoro estreme (la speranza di vita non arriva ai 45 anni), le aggrediscono e violentano impunemente. “Fra tutti i posti in cui sono stato, questo è il meno adatto alla vita”, afferma il regista.

Lucía, 40 anni, Ivone di 16 e Abigail di 17 sono le protagoniste di un racconto angosciante ai piedi di una miniera che dentro uccide i giovani e fuori strangola le donne. Ciascuna sopravvive ed evade come può, abbandonata alla propria cattiva sorte. Le tre vivono all’entrata della miniera, in casette di mattoni minuscole, in alcuni casi dovendo bere l’acqua contaminata che esce dai tunnel.

Lucía, la più grande, cerca di spaventare gli aggressori facendo esplodere dinamite e uscendo per strada, anche se assicura di non aver più paura ormai. Tutto il contrario di Ivone, che non solo deve scappare dai minatori, ma anche dal padre alcolizzato. “Quando è a casa lui, io me ne vado. Picchia anche mia madre. Lo odio”, confessa nel film. “È una ragazza forte, un gran carattere, che vive costantemente con la paura. Durante la registrazione, ha pronunciato almeno venti volte la parola paura. Sopporta la situazione per sua madre, che zoppica da una gamba, e per le sue sorelle, ma le piacerebbe adarsene in Brasile”, spiega De la Fuente. Nella sua borsa non manca mai una pietra con cui potersi difendere.

Abigail nella miniera di Cerro Rico
Abigail nella miniera di Cerro Rico

La strategia di Abigail è quella di mimetizzarsi con i minatori. Come le altre due protagoniste, si guadagna da vivere vigilando il materiale dei lavoratori, entrando però anche lei in miniera di notte, per 12 ore (ci sono circa 13.000 bambini minatori in tutta la Bolivia, secondo la ONG Cepromin). Prima lo faceva spesso, adesso solo sporadicamente, quando ha bisogno di un po’ di denaro extra, di nascosto all’organizzazione presso la quale passa il resto della giornata a studiare, coniugando la miniera con lo studio in giornate interminabili, che quasi si uniscono l’una all’altra. Il salario, solo quello, è cinque volte inferiore rispetto a quello di un uomo, anche se, a voler essere ottimisti, per il momento qualcosa guadagna. In passato, un debito con i proprietari della miniera, a causa di un furto del materiale custodito dalla famiglia di Abigail, l’aveva obbligata a lavorare gratis per un certo periodo.

Per registrare il momento più impressionante del cortometraggio, Raúl de la Fuente e Axel O’Mill, il tecnico del suono, sono entrati con lei in queste gallerie pericolanti, infangate, pestilenti e completamente oscure, appena illuminate da una piccola luce che dondola sul casco della giovane, che carica centinaia di chili di pietre sul suo vagoncino. “Siamo entrati la notte dopo la morte di due giovani per una fuga di gas. Le gallerie sono piene di liquido e fango, e alcuni tunnel sono molto stretti; per questo hanno bisogno dei bambini. Naturalmente le misure di sicurezza sono inesistenti. Ci siamo rimasti per circa 3 ore, ma non ne sono sicuro… si perde davvero la concezione del tempo. Ho cercato di astrarmi dal luogo e concentrarmi sugli aspetti tecnici della registrazione, fino a quando non ha detto ‘Non toccate lì, ci può crollare in testa tutto.’ Questa frase è stata uno schiaffo di realtà. Quindi abbiamo deciso di uscire il più presto possibile. Se fosse caduto, saremmo morti”, ricorda il regista di Minerita.

Ivone con sua madre
Ivone con sua madre

L’idea iniziale prevedeva anche di entrare con i minatori, ma la diffidenza che si era creata fra i lavoratori per la loro presenza li aveva obbligati a desistere. “Le donne ci hanno accolti con cautela. Ringraziavano per il fatto di raccontare le loro storia, ma sapevano anche che poteva essere un rischio. Ivone, per esempio, non voleva partecipare. Axel l’ha convinta cantando un tango a lei e alla madre. Abbiamo girato con attenzione per non metterle in pericolo. Abbiamo cercato di farlo mentre i minatori non erano vicini. Nonostante ciò, la tensione era inevitabile. Pensavamo di rimanere tre settimane, ma alla fine ce ne siamo andati un po’ prima”, racconta De la Feunte.

L’ispirazione per questa storia cinematografica nasce quattro anni fa da un reportage scritto (con foto e audio) da Dani Burgui e Ander Izagirre sui bambini minatori di Cerro Rico, nel quale compariva già Abigail mentre lavorava nella montagna, e che è stato premiato nel 2010 da Manos Unidas come il miglior pezzo di informazione dell’anno sui paesi del Sud. “Si era già scritto molto sul minatore supermacho che  si gioca la vita, ma si era raccontato poco sulla situazione di molte donne: violentate, aggredite, situazioni di incesto. Sono vittime, hanno una grande determinazione per andare avanti, senza aspettarsi nulla dal Governo o dall’Europa”, conclude Burgui.

In un futuro non molto lontano, a Raúl de la Fuente piacerebbe organizzare a Potosí, la cittadina ai piedi di Cerro Rico, una proiezione privata per Lucía, Ivone y Abigail, le tre eroine di Minerita.E forse in compagnia del premio Goya.

Fonte: http://blogs.elpais.com/mujeres/2014/01/la-monta%C3%B1a-que-devora-a-las-mujeres.html

Traduzione di Daniela Sala

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