Il 6 Aprile 1814 non fu una giornata semplice per Napoleone Bonaparte: dopo la sconfitta a Lipsia, ormai costretto ad abdicare, verrà di lì a poco esiliato all’Isola d’Elba. Tornerà a farsi vedere, certo, ma solo per ricevere a Waterloo l’ultima batosta che lo consegnerà a Sant’Elena, in mezzo all’Oceano Atlantico, fino alla fine dei suoi giorni. Una volta liberatisi dell’ormai ex-imperatore dei francesi, per i Capi di Stato europei la priorità era una sola: restaurare l’Europa, ergo far tornare confini nazionali e uomini politici ai loro posti, così com’era prima della Rivoluzione Francese.
Che la restaurazione non sarebbe durata fu subito palese: la Parigi rivoluzionaria aveva introdotto troppe e troppo radicate novità nelle menti dei cittadini europei. I Moti rivoluzionari del 1820, del 1830 e del 1848 li avrebbe previsti anche un bambino: i popoli si ribellano ai nuovi (vecchi) governi, chiedono diritti. Tuttavia, uno dopo l’altro, questi tentativi fallirono, sedati di fronte alle forze militari nemiche e sfasciati dalle divisioni interne. In Italia, dopo le occupazioni rivoluzionarie di Roma e di Milano, uno per uno, i vecchi sovrani tornano ai loro posti: è la Seconda Restaurazione.
2013: la Terza Restaurazione italiana è tutta nelle parole di una donna intervistata Sabato pomeriggio dal programma In onda, di Luca Telese, trasmesso la sera stessa su La7: “oggi, in Italia, è la Chiesa la forza riformatrice. Lo Stato, al contrario, quella reazionaria”.
È il paradosso, inedito nella Storia, a cui stiamo assistendo.
La parte problematica dell’enigma è la seconda, quella che riguarda lo Stato. Una Chiesa che si stia almeno mostrando (per l’ essere siamo ancora in attesa) progressista è una bella cosa per tutti, anche perché i valori di fondo da conservare, conservati verranno.
Ma uno Stato che restaura (e nessun altro termine sarebbe qui più appropriato) uomini, donne e ars politiké del passato quando una crisi economica e, soprattutto, una crisi etica e morale ci stanno mostrando la necessità di voltare pagina, ecco, questo deve far riflettere.
Non nel modo in cui hanno riflettuto (?) in televisione i manifestanti di Piazza SS. Apostoli: “un secondo settennato è un’illegalità!” Ma quando mai! “Faremo ricorso contro l’elezione di Napolitano!” dove?
Riflettiamo invece su ciò che tutti abbiamo visto. I trentadue denti di Silvio Berlusconi e Angelino Alfano mentre plaudono all’esito delle votazioni, Bersani che ringrazia Napolitano per il “risultato eccellente”. Tutti contenti. Perché si avverte come ci si sia appena salvati dal pericolo, un rischio che si chiama Stefano Rodotà. Un uomo non ricattabile, un giurista che avrebbe messo alle strette i privilegi giudiziari di entrambe le ali del Parlamento. Un uomo scomodo in quanto fortemente (e non ingenuamente) onesto.
E allora l’enigma mostra il nuovo governo di larghe intese per quello che effettivamente è: un giano bifronte, da una parte con un volto in lacrime, preda di crisi interne, e dall’altra con un ghigno inquietante, consapevole di aver appena vinto l’ennesima battaglia contro il suo più grande nemico: il nuovo.
di Pietro Crippa
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