Otto operai investiti da un getto di olio bollente che in un istante prende fuoco.
Era il 6 dicembre del 2007, esattamente 6 anni fa.
La fabbrica era la THYSSENKRUPP di Torino; gli operai – di cui 7 morirono in una terribile agonia nel giro di un mese – le ennesime vittime innocenti chiamate dalla stampa “morti bianche”; un termine che allude all’assenza di una mano formalmente responsabile dell’accaduto.
Ma non sono state “morti bianche”, quelle della THYSSENKRUPP.
Le vittime della strage lavoravano da 12 ore e – secondo la testimonianza di alcuni operai – i sistemi di sicurezza non funzionavano correttamente.
Non si è trattato di “morti bianche”, ma di conseguenze inevitabili ad una spaventosa mancanza di sicurezza; di omicidio con responsabilità accertate.
Nonostante abbia cercato di “fermare con azioni legali” l’unico testimone sopravvissuto – Antonio Boccuzzi – e di dare la colpa dell’incendio ai 7 operai troppo “distratti”, l’amministratore delegato della società, Herald Espenhahn, è stata condannato in primo grado a 16 anni e 6 mesi di reclusione (insieme ad altri 5 manager dell’azienda con pene superiori ai 10 anni) e in appello – il 28 febbraio 2013 – a 10 anni.
Oggi non è quindi l’anniversario di uno dei casi più terribilmente emblematici del fenomeno delle “morti bianche in Italia”, ma di una vera e propria strage, dove la noncuranza e, forse, l’avidità hanno strappato la vita a 7 persone che stavano semplicemente lavorando.
Sono ancora troppe, in Italia, le morti sul lavoro e sono spesso troppi gli anni che trascorrono prima che le famiglie delle vittime ottengano giustizia (sempre che – cosa non scontata – questa finisca con l’essere riconosciuta).
Secondo le ultime statistiche, dall’inizio dell’anno ad oggi sono state documentate 546 “morti bianche”, solo considerando gli incidenti mortali avvenuti sul luogo di lavoro.
Se alla conta si aggiungono i decessi in itinere, avvenuti sulla strada nel corso dell’attività lavorativa, si superano i 1150 decessi. Questo, naturalmente, senza considerare i lavoratori in nero, che in alcuni settori – dall’agricoltura all’edilizia – rischiano la vita ogni giorno, senza alcuna garanzia e nel totale silenzio.
Secondo Affari Italiani, fino allo scorso giugno, gli infortuni mortali in agricoltura arrivavano a coprire il 45% del totale dei casi registrati; settore seguito a ruota dall’edilizia, che ingloba il 18,8% dei decessi; ma anche dai servizi, dall’artigianato, dall’autotrasporto.
La Regione ad essere maggiormente colpita dal fenomeno resta la Lombardia, seguita dall’Emilia Romagna, dalla Sicilia, dalla Puglia e dalla Liguria, regione in cui viene tuttavia registrato il maggior tasso di rischio di mortalità rispetto alla popolazione lavorativa (25,3 contro una media nazionale del 10,5).
La mancanza di lavoro, la mancanza di sicurezza sul lavoro.
Due lati di una medaglia che nel nostro Paese fa assomigliare sempre di più il lavoro stesso a una fonte di morte e non al pilastro su cui la nostra Repubblica è fondata.
E la cosa più drammatica è che le “morti sul lavoro” sempre più raramente possono essere considerate “morti bianche”.
di Marco Besana
Comments 0