Che giocare in casa aumenti le possibilità di vittoria, è risaputo. In attesa di un esito del tira e molla italo-indiano nel più che inflazionato caso dei due marò, l’India mette la parola “fine” a un altra disputa diplomatica, un braccio di ferro che si giocava ormai da sette anni.
Ieri, la Corte Suprema Indiana ha autorizzato le industrie farmaceutiche locali a produrre in serie il Glivec, un medicinale usato in tutto il mondo per il trattamento di certi tipi di cancro, fino ad allora esclusiva del colosso farmaceutico svizzero Novartis.
Qual era il problema e dove starebbe la novità?
Ogni farmaco è caratterizzato da un principio attivo, cioè da una una sostanza che possiede una certa attività biologica. Nei medicinali, per esempio, le sostanze in essi contenute sono dotate di effetto terapeutico.
Nella maggior parte dei farmaci i principi attivi sono sintetici, cioè ottenuti tramite reazioni chimiche artificiali, individuabili e riproducibili per la produzione su larga scala.
La casa farmaceutica che per prima sintetizza il principio attivo può decidere di brevettarne la formula in modo tale da avere l’esclusiva sulla produzione e, di conseguenza, sulla vendita del prodotto.
È il caso della Novartis con il Glivec.
Per molti di questi medicinali, tuttavia, è possibile acquistare nelle farmacie il corrispettivo generico, un prodotto dal principio attivo identico, ma non coperto da brevetto.
E qui arriviamo al problema: se è possibile acquistare qualcosa di equivalente, l’azienda produttrice originaria dovrà fare i conti con la concorrenza. Anzi, è probabile che la concorrenza vincerà su tutta la linea dato che la caratteristica più evidente dei farmaci generici sta proprio nella fortissima riduzione del prezzo di vendita.
In altre parole: stessi benefici terapeutici, ma a prezzo notevolmente ridotto. Per fare un esempio: il farmaco “griffato” della Novartis costa 1.700€ al mese, mentre la versione generica indiana è disponibile a circa 135€ al mese.
Nel caso in questione, la Novartis rivendica la scoperta della formula. Richiesta mai accettata dall’India, secondo la quale il prodotto mancava di novità e inventiva brevettuale essendo la modifica di un farmaco già esistente (l’imatimib) con proprietà non diverse.
Per la verità, bisogna dire che la Novartis dona regolarmente all’India una certa quantità di farmaco e che esso, nella sua “nuova versione” generica resta comunque ancora troppo costoso per la maggior parte della popolazione, pur essendo indiscutibilmente più “acquistabile”.
Ciò che la vicenda porta con sé è, a mio parere, un’altra questione, che fuoriesce dall’asse indo-svizzero per investire tutta l’umanità: quale etica per una sanità capitalisticamente strutturata?
Perché la questione è che la differenza tra farmaci “griffati” e farmaci generici (bioequivalenti) riguarda tutti noi: dove sta, nel mio medico di base e nel mio farmacista, il limite tra spirito di assistenza e spirito di profitto? Cosa interessa realmente alle grandi case farmaceutiche? Guarire gli ammalati o aumentare gli utili?
“Diritto alla cura” (Art. 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, art. 32 della Costituzione Italiana, ecc.) significa che tutti devono avere la possibilità di curarsi. Non “pochi” e neppure “molti”. Tutti.
di Pietro Crippa
per approfondire: farmaci equivalenti: efficaci e sicuri come gli originali?
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