La Cina firmava una delle pagine più nere della storia del Tibet, con la violenta repressione della rivolta tibetana iniziata il 10 marzo e conosciuta come Rivolta di Lhasa. L’esercito cinese depose il governo tibetano e ne assunse il totale controllo, costringendo il Dalai Lama a riparare in esilio in India.
La rivolta scoppiò pochi giorni prima, quando si scoprì, durante il capodanno cinese, che Pechino stava cerando di rapire il Dalai Lama. La dura repressione cinese portò all’uccisione di circa 10.000 tibetani, per la maggior parte proprio a Lasha che, da quel giorno, cambiò definitivamente e irrimediabilmente fisionomia.
Prima dell’occupazione cinese la città contava 20.000-30.000 abitanti: oggi non si sa con esattezza quanti tibetani vivano nell’antica capitale, nonostante l’amministrazione cinese affermi che l’etnia tibetana rappresenti circa l’80% della popolazione cittadina, e gran parte del patrimonio artistico della città è oggi soltanto un ricordo.
55 anni fa. Ma nulla sembra cambiato.
La repressione è ancora all’ordine del giorno, ma non riguarda più soltanto lo Stato Cinese. Lo scorso 10 marzo, per compiacere il governo di Pechino, anche le autorità Nepalesi si sono rese responsabili di una violenta repressione, a danno di manifestanti tibetani che ricordavano proprio la grande rivolta del marzo 1959.
A Kathmandu la polizia nepalese ha infatti arrestato un gruppo di tibetani che stava manifestando pacificamente, senza comunicare agli interessati le accuse, nè il luogo della loro detenzione.
Come si legge su Asia News: “A seguito proprio della fallita insurrezione anti-cinese, oltre al Dalai Lama anche un grande numero di tibetani ha lasciato il proprio Paese per stabilirsi in India e in Nepal. Qui vivono circa 20mila tibetani, che il governo tiene sotto stretto controllo per evitare problemi con Pechino: quasi tutti sono internati in 18 campi profughi, per la maggior parte nella valle di Kathmandu. Il Nepal e la Cina hanno iniziato da circa un decennio un percorso di ri-avvicinamento economico, politico e diplomatico: Kathmandu teme di perdere le ricche commesse dell’imprenditoria cinese e quindi cerca in ogni modo di evitare tensioni“.
Secondo Tsering Lama, attivista per i diritti umani dei tibetani in Nepal, le autorità nepalesi hanno organizzato veri e propri raid notturni, che hanno portato alla deportazione in campi dei molti tibetani coinvolti nella manifestazione senza la minima garanzia di rispetto dei Diritti Umani fondamentali.
55 anni fa. Ma nulla sembra cambiato.
Forse solo la collocazione geografica di una repressione che dura da più di mezzo secolo. E che oggi non si limita alla Cina, ma coinvolge chi da Pechino ha troppi vantaggi per decidere di opporsi.
Il Nepal, ma anche l’Europa, che non arresta tibetani, ma li condanna al silenzio.
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