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Un Ing. alla scoperta dell’Etiopia – Capitolo primo

News, REPORTAGE / by Marco Pozzoli / Mag 02, 2014

La prima cosa è la polvere.

Rossa, densa, si alza come nebbia pestilenziale al passaggio dei pesanti cingolati, che arrancano lungo la pista di terra battuta dai fascisti di Graziani nella loro “gloriosa” marcia verso Addis Abeba. Si appiccica subito alla lingua e alla tonsille, facendoti desiderare nient’altro che acqua. Wuha kashkasha, acqua gelata, è una delle prime parole di amarico che impari, quando stai andando in Afar. La chiedi ai baracchini, per sentirti dire che da due settimane la corrente è andata a puttane, per cui l’acqua c’è solo mukk, calda, e va già bene così.

Perché quando alla polvere si aggiunge la botta del solleone, capisci come mai loro si bevano pure l’acqua marrone dell’Awash, il fiume. Trentacinque gradi fissi, minimo, ti martellano la testa senza pietà mentre discuti con le alte cariche della provincia. Ci sono tutti, i pezzi grossi di Telalak: Seko, il sindaco, che non dimostra un giorno più dei suoi, dei miei 25 anni. Ahmed, il direttore dell’ufficio istruzione, probabilmente ne ha pure qualcuno in meno. E poi c’è Asaab, signore di mezz’età a capo del Water Bureau. Lui sì che incarna la descrizione formato guida turistica dell’uomo Afar: kefia, barbaccia bianca semi incolta, sguardo di ghiaccio, manca giusto il famoso mitra.

In realtà, è solo un’impressione a prima vista. Gentilissimo, superando due barriere linguistiche – afarico|amarico|inglese – mi spiega che l’acqua delle pompe non la bevono perché è salata, troppo salata anche per le bestie. Mi porta a vederle, le pompe, mi fornisce tutti i dati tecnici che hanno. Pochissimi, manco a dirlo, ma, incredibilmente, tra vecchi fogli smangiati dalle tarme spunta non so come una usb con alcune mappe GIS** (GIS!) della provincia. Poca roba e non molto utilizzabile, ma è già molto più di quanto mi aspettassi. Si impegna ad andare a Semera, capoluogo regionale, a reclamare i documenti che gli elenco. Alla fine ci offre il pranzo, shirou e injera*, da vero signore, pagando anche per noi prima di salutarci.

A Dawe non è molto diverso. Partiamo il mattino presto da Komse, paesotto al confine tra Amhara e Afar. Due belle orazze di rally, il mio collo ancora “ringrazia” i vetusti ammortizzatori del fuoristrada LVIA. Dopo tre giorni, a colazione abdico l’enkulal tibes, l’uovo fritto. “Too bad man, you are going to need that energy” mi dice Wole osservando sconsolato il mio molto occidentale the con i biscotti. “Don’t worry man, I’ll make up with some shirou later” gli rispondo. Lui e Addisu, il driver, si guardano e partono a ridere: “No way man, no food in Dawe. And I mean it.”

Morale, me la cavo con un pacchetto di crackers mentre si ripetono gli incontri dei giorni precedenti, abbiamo solo cambiato provincia. Stessi problemi, stessa acqua pessima, stesso caldo terrificante. Qualcuno qui ha avuto l’ottima idea di piazzare qualche pannello solare. Quando andiamo nei kebele, le zone rurali, il mio consueto status di bestia rara sfocia in quello di superstar: il villaggio si muove dietro di me, spuntano addirittura un paio di macchine fotografiche. I bambini mi chiamano china, dato che i cinesi sono quanto di più simile a un bianco abbiano mai visto in vita loro, gli adulti si piegano di risate quando sfoggio le mie quattro parole di amarico.

Sulla via del ritorno verso Addis e “la civiltà”, ho la testa piena di idee. Probabilmente molte irrealizzabili, tante altre semplicemente sbagliate. Ma se ne passasse una. Anche una sola.

Arrivederci Afar, ci vediamo tra un mese. Tu aspettami, al prossimo giro offro io.

 

...
…

 

...water is life.
…water is life.

 

Wole, Marco, Addisu: LVIA team @ Afar Region!

Wole, Marco, Addisu: LVIA team @ Afar Region!

 

*Nota culinaria per i lettori: lo shirou è una zuppa di legumi, pomodori e cipolle, molto saporita, servita in tradizionali pentolini di argilla. L’injera, invece, è una sorta di crépe acidula realizzata dal tef, un cereale endemico dell’Abissinia, e costituisce la base della cucina etiopica, accompagnando praticamente qualunque piatto.

**Nota tecnica, ai pochi lettori a cui può fregarne qualcosa: il termine GIS è l’acronimo di Geographical Information Sistem, o Sistema Informativo Territoriale, e comprende tutto l’insieme di informazioni in formato digitale (mappe, database, etc.) relative ad un certo territorio.

 

di Marco Pozzoli

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